Sakè e Grappa, tutte le differenze
Non chiamatelo «vino di riso».
Ma neppure «birra di riso» (sì, qualcuno lo ha fatto), né «liquore» e, tantomeno, «distillato».
Ma come, il Sakè non è un distillato? Ebbene sì, cari lettori: la più tipica, diffusa e apprezzata bevanda giapponese è – tecnicamente – un doppio fermentato di riso che raggiunge una gradazione alcolica tra i 13 e i 18 gradi.
Stupiti? Noi di sicuro. Ma resterete ancora più esterrefatti dalla sua storia. Cominciamo.

Bottiglie di sakè
LA MASTICAZIONE “ALCOLICA”
Come molte altre bevande alcoliche, il sakè nasce presumibilmente attorno al quinto millennio avanti Cristo, in Cina. Fu dunque importato in Giappone molto più tardi, dalle migrazioni che popolarono l’isola. Il primo metodo di produzione del sakè (chiamato kuchikami, ovvero «masticato») fu nientepopodimeno che… la bocca. In pratica, i cereali del sakè venivano masticati a lungo nella bocca e poi sputati per essere fermentati. La masticazione è infatti essenziale: gli enzimi salivari davano il via alla conversione in zuccheri degli amidi, permettendo la fermentazione e il raggiungimento del grado alcolico.
Ci sono ancora molte leggende sul kuchikami. Una di queste vuole che a masticare il riso fossero solo giovani vergini, le cui labbra erano certamente più “monde” e adatte allo scopo. Ancora in tempi recenti, almeno a dar credito allo scrittore Junichiro Tanizaki, alcuni benestanti non rinuncerebbero a questa pratica e, con tutto il feticismo che ne consegue, si farebbero preparare sakè masticati da giovani donne.
COME SI PRODUCE IL SAKÈ?
Evitando la masticazione (ci mancherebbe!), ciò che oggi conosciamo come sakè è il frutto di un fungo assai popolare, l’aspergillus oryzae, responsabile, fra l’altro, della fermentazione del miso (la salsa di fagioli di soia) e della salsa di soia, che ormai tutti conosciamo. L’aspergillus lavora instancabilmente sugli amidi del riso per “maltarli”, ovvero trasformarli in zuccheri. Solo dopo la loro dolce “conversione” questi zuccheri muteranno in alcool.
Già, ma come si produce il sakè? Sono due le fasi principali.
La prima è la maltazione. Il riso (le varietà utilizzate contengono molto amido e non sono piacevoli per l’alimentazione “normale”) viene levigato a fondo per rimuovere gli strati esterni e poi cosparso con il fungo dell’aspergillus.
Poi c’è la fermentazione, attentamente seguita dal Toji, il “mastro birraio” del sakè. Dopo circa una settimana a contatto con il fungo, al riso vengono aggiunti acqua e saccaromiceti: inizia così la seconda fermentazione che porterà il sakè a diventare alcolico.

Riso preparato per ottenere sakè
COME SI BEVE IL SAKÈ
Il sakè si beve freddo o caldo. Ne esistono centinaia di tipi diversi, ma, solitamente, si beve giovane, affinché i suoi aromi primari vengano conservati. Esistono anche sakè invecchiati, ovviamente, ma di norma lo si consuma entro l’anno, perché, con il tempo, rischia di perdere profumi e diventare ruvido.
LA DIFFERENZA CON LA GRAPPA
Il sakè, dunque, non è affatto un distillato. È ottenuto da riso fermentato due volte. Raggiunge una gradazione alcolica assai minore di quella della Grappa e, nella maggioranza dei casi, non è un prodotto da invecchiamento. Il suo gusto delicato lo rende perfetto per la miscelazione: esistono molti cocktail a base saké e, addirittura, in commercio c’è un sakè addizionato con Yuzu, un costoso agrume giapponese, per un’esperienza simile al limoncello.