Perché sono nate le bevande alcoliche?

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Nella storia, salute e alcool sono settori assai più complementari di quanto possiamo credere. Al vino e alla birra si attribuivano proprietà terapeutiche e viceversa, le proprietà terapeutiche si legavano all’alcool per le sue capacità estrattive e purificanti.

Non fanno eccezioni gli amari e i distillati, la cui storia ad epoche antichissime. Per capire come nasce una bevanda alcolica, e soprattutto perché, dobbiamo primariamente chiarire un concetto di base: la potabilizzazione dell’acqua.

BERE È PERICOLOSO

Immaginando i nostri antenati abbiamo spesso una visione idilliaca della loro vita. La fatica del lavoro e la mancanza di comodità moderne, pensiamo, erano compensate da un rapporto autentico con la natura, che concedeva i suoi frutti migliori. L’aria, la terra, i boschi, le aree verdi… tutto era intatto e puro: l’acqua delle sorgenti e dei fiumi scorreva chiara, dolce e fresca come in una poesia di Petrarca.

Ebbene, non era così.

L’acqua potabile era un lusso di chi sapeva incanalare le sorgenti e costruire acquedotti, tutti gli altri dovevano ben guardarsi dall’ingurgitare i liquidi a disposizione. Le acque stagnanti ospitavano batteri e virus, i fiumi potevano essere contaminate da detriti e fanghi. Le sorgenti di valle dovevano essere selezionate con cura: allevamenti o mandrie ne compromettevano la sicurezza con i loro liquami.

La disinfezione dell’acqua fu applicata per secoli. Documenti risalenti a più di due millenni orsono stabilivano che l’acqua non sicura dovesse essere filtrata con carbone, esposta alla luce solare o purificata immergendo metalli come rame o argento, pietre e amuleti. La bollitura dell’acqua – assai comune in estremo oriente per la produzione di tè – era pressoché sconosciuta dalle civiltà mediterranee. Babilonesi, Egizi, Greci E Romani arrivarono a sconsigliarne il consumo: l’acqua poteva provocare malattie croniche e mortali. Un’eredità che ancora oggi pesa sulle nostre spalle, fossilizzata in alcuni detti popolari: «Il vino fa buon sangue, l’acqua ruggine».

Uno dei problemi fondamentali dell’antichità era la conservazione dell’acqua. Serbatoi, brocche, vasi, anfore… l’acqua non veniva certamente stoccata in luoghi sani ed ermetici, trasformandosi in ricettacolo di muffe, batteri, insetti. Da qui il detto «Acqua che scorre non porta veleno», ovvero l’acqua corrente garantisce una maggiore sanità perché non ristagna.  A Matera, sul cui altipiano l’acqua scarseggiava enormemente, canaline scavate sui tetti e sul fondo stradale convogliavano la pioggia in cisterne ipogee. Qui l’acqua decantava, liberandosi di polveri e fanghi. Ma per verificare che fosse potabile, venivano introdotti allevamenti di anguille, pesci adatti a vivere in acque limpide.


Ostia antica, anfore da vino utilizzate in epoca romana

Ostia antica, anfore da vino utilizzate in epoca romana


LA FERMENTAZIONE PER POTABILIZZARE

Una delle ipotesi più plausibili sulla nascita delle bevande alcoliche sembrerebbe la necessità di purificare l’acqua. Non possiamo sapere quando e chi inventò il primo calice di vino o di birra. Ma possiamo dire che – una volta scoperta la fermentazione della frutta e dei cereali – l’uomo capì che poteva dissetarsi senza i rischi connessi a quelli dell’acqua stagnante. La fermentazione sviluppa naturalmente alcool, il cui potere antisettico riesce a contrastare, in parte, la carica batterica. Non solo. L’alcool – ci si accorse – estraeva “gusti e profumi” dalle materie organiche in fermentazione, risultando piacevole al palato. Infine – cosa che non si deve mai dimenticare – le bevande alcoliche fornivano energia ed euforia ai bevitori, assolvendo a due compiti fondamentali per l’umanità: il nutrimento (birra e vino procurano importanti calorie per il fabbisogno giornaliero) e la ricreazione (l’ebbrezza data dall’alcool – senza farne un vanto – è riconosciuta in ogni cultura nei suoi caratteri sacri e psicotropi, una sostanza capace di connettere al divino, ma anche di svagare l’uomo dalle sue fatiche).

Se la storia della potabilizzazione vi sembra qualcosa di incredibile, sappiate durante la rivoluzione industriale (e dobbiamo fare un salto fino al XVIII e XIX secolo), la birra era la bevanda ufficiale degli operai delle industrie e dei cantieri.

Bevevano e lavoravano? Esatto.

Birre di bassa gradazione erano distribuite tra le masse lavoratrici perché era impossibile procurare un approvvigionamento di acqua potabile in quantità elevate, lontano dagli acquedotti cittadini. Gli industriali acquistavano birra in grandi quantità da altri industriali per dissetare i loro lavoratori. Un circolo economico che contribuì alla nascita di due fenomeni contemporanei, di segno opposto: la produzione su scala industriale di birra a bassa gradazione (non è un caso che l’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, sia leader nel settore) e l’alcolismo, male per eccellenza della classe operaia, a cui tutti gli Stati dovettero cercare rimedi.

LA DISTILLAZIONE, ALCOOL E SPIRITO

La nascita della distillazione segue da vicino quella di birra e vino, ma si carica di valenze diverse.

Distillare era certo un metodo perfetto per potabilizzare, ma produceva bevande troppo alcoliche per essere utilizzate come nutrimento o rinfresco quotidiano. La scoperta della distillazione (anch’essa antichissima) aveva allora altri scopi, pragmatici e spirituali. L’alcool distillato da vino o frutta (con gradi di purezza assi inferiori a quelli odierni) veniva utilizzato per creare profumi, infusi, o conservare cibi. Ma si cominciò ad adoperarlo soprattutto come “estrattore” di essenze in infusi, amari, vini amaricati. L’alcool poteva essere mischiato all’acqua per potabilizzarla, è vero, ma anche trarre dalle erbe – in forma più pura ed efficace – quelle proprietà curative che tutte le culture umane avevano imparato ad apprezzare.


Leggi il nostro post dedicato alla nascita della distillazione ancestrale

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La natura “estrattiva” della distillazione fu padroneggiata prima dai farmacisti e, in seguito, dagli alchimisti.

I farmacisti vedevano nella distillazione un modo per potenziare l’efficacia delle medicine, rendendole conservabili e fruibili in forma liquida. Gli alchimisti ne coglievano invece l’aspetto spirituale, in grado di connettersi all’etere (l’aria), dimensione divina per eccellenza. Entrambi gli ordini, tuttavia, capivano che le bevande alcoliche avevano un potere sull’uomo: agivano sul corpo e sulla psiche (o anima), alterandoli.

Anche da questa considerazione nacque la doppia natura del farmaco, la cui parola deriva dal greco e significa «bevanda curativa», ma anche «veleno»: estrarre l’essenza delle cose può essere un vantaggio, ma tutto dipende dalla natura di ciò che si va a distillare.


Leggi il nostro post dedicato alla distillazione degli alchimisti

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