Storia di Marolo, sulle ali del Martin Pescatore

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Continua la nostra intervista a Paolo Marolo (leggi qui la prima parte e la seconda parte): l’incontro con Gianni Gallo, geniale e sregolato autore di etichette che faranno scuola; le prime grappe monovigna; il sodalizio e l’amicizia con i produttori di vino del territorio.

Signor Marolo, nel 1977 viene fondata la Distilleria Santa Teresa che raccoglie l’esperienza maturata con l’insegnamento alla Scuola Enologica di Alba e, da subito, esalta il legame con i vitigni autoctono piemontesi. Anche le prime etichette furono il risultato di un incontro?

Proprio così. Fatta la grappa, una grappa che consideravo tradizionale e innovativa al contempo, volevo trovarle un vestito adatto. Qualcosa che richiamasse la tradizione, ma si staccasse dalle classiche rappresentazioni del dopoguerra. Intendiamoci, oggi forse quelle etichette sono vintage, ma all’epoca erano tutte identiche: sui vini veniva indicato il nome della denominazione, con qualche medaglia o simbolo araldico. A volte, si compravano etichette prestampate a cui si aggiungeva, a mano, il nome del produttore. Insomma, io volevo qualcosa di diverso per un prodotto che consideravo prezioso.

A chi si rivolse?

A quell’epoca frequentavo un folto gruppo di produttori che si ritrovava a Verduno: ci si incontrava per chiacchierare, scambiare esperienze, bere un bicchiere. Condivisi con loro la mia ricerca di un’etichetta per le grappe e mi fu presentato un lavoro di Gianni Gallo. Fui colpito. Oggi avrei scritto una mail, invece decisi di andarlo a trovare.

Dove abitava?

A Dogliani. Lo si poteva trovare al Bar Roma o a casa sua, nella sperduta cascina Ribote, che era diventato il suo laboratorio creativo. Arrivai da lui e gli dissi: «Ho visto i tuoi lavori e mi piacciono. Potresti studiare un’etichetta per le mie grappe? Lui rispose secco: «Io non faccio etichette».

In effetti, quell’epoca Gianni Gallo disegnava soltanto per gli amici. Come lo convinse?

Con me avevo portato alcuni campioni. Gianni, lo si sapeva, era un vero anarchico: alle retribuzioni preferiva gli scambi, sia in termini di relazioni umane sia di baratto. E, naturalmente, gli piaceva bere. Dopo avere assaggiato le grappe mi guardò a lungo e disse: «Sai che mi viene in mente?». «Che cosa?». «Una vecchia grappa della Vigliecca (una distilleria di Dogliani non più attiva), una magnifica grappa della Vigliecca. Sa che mi piace. Magari posso farle qualcosa».  Cominciò un rapporto che si protrasse fino alla sua scomparsa, nel 2011.

Quali furono le prime etichette da lui disegnate?

Era il 1978, io avevo già prodotto tre grappe l’anno precedente da vinacce di Arneis, Dolcetto e Nebbiolo. Gianni non aveva il telefono, per contattarlo bisognava prendere l’auto e raggiungerlo nella sua cascina di Ribote. Lasciavo passare un po’ di tempo e lo raggiungevo, chiedendogli le etichette. Lui rispondeva: «Eh, non ancora», magari facendosi lasciare un’altra bottiglia. Dopo un paio di tentativi, riuscii a fami dare un numero: non era il suo, ma quello del vicino. Chiamavi e sentivi le urla dell’amico che gli intimava di venire a rispondere. Alla fine, mi diede due pezzi di carta. Gli dissi: «Ma io ho tre grappe». Rispose: « Ne ho fatte due. Per Nebbiolo e Dolcetto cambiamo i colori».

Che cosa rappresentavano?

Erano bozzetti in bianco e nero preparati su carta. Una lampada ad olio per la grappa di Arneis, un salice spoglio per quella di Dolcetto e Nebbiolo. Di primo acchito non mi dissero granché. Ma avevo poche bottiglie, volevo fare un tentativo. È così che avvenne un piccolo miracolo.

Gianni Gallo

 

Quale?

Andammo in stamperia con Gianni Gallo. Lui seguiva ogni fase della creazione. Scegliemmo i colori e facemmo le prove di stampa. Quei tratti essenziali presero vita, cominciarono a brillare sul fondo bianco della carta. Capii l’importanza del lavoro, la novità. Le etichette di grappa erano tutte nere, grigie o marroni, con qualche scritta. Le mie erano bianche, con un disegno realistico centrale, vibrante, naturalistico: sugli scaffali, erano le prime ad essere notate.

Gianni Gallo illustrò anche la sua prima Grappa di Barolo, nel 1980.

Fu uno dei suoi capolavori: il Martin Pescatore su tife ed erbe palustri, che presto divenne il simbolo stesso della distilleria. Ne realizzò, in seguito, una versione in volo, icona che abbiamo scelto per festeggiare i 40 anni di attività. Vennero poi etichette che hanno fatto storia e ancora oggi ci contraddistinguono: l’uomo con la zappa (1978), il grappolo di Moscato (1980), i boccioli di rose (1982), il cespuglio di camomilla (1984). Chi apprezza le mie grappe ha imparato a riconoscerle anche attraverso le etichette di questo straordinario artista, che diventò un carissimo amico.

Il suo legame con il territorio proseguì anche nella distillazione?

Ho sempre creduto molto nelle sinergie di territorio. Sulle etichette delle mie grappe c’erano i nomi dei conferenti delle vinacce. Tra produttori si creava una liason e una benevolenza che ci faceva diventare un gruppo compatto e fiducioso. All’epoca, non c’era modo di farsi conoscere se non facendo gruppo e sfruttando i contatti che ciascuno metteva in comune.

Ricorda quando vendette la sua prima grappa all’estero?

Certo, ma fu l’estero a venire da me. Era il 1983, in pochi anni, il passaparola aveva dato notorietà alle mie grappe ottenute da vitigni piemontesi. Nel cortile della distilleria giunsero tedeschi di Stoccarda e alcuni giapponesi: chiedevano di acquistare la «Grappa di Marolo», di cui avevano letto alcune recensioni.

Fu in quel periodo che distillò i suoi primi cru, le prime grappe monovigna?

Dalla metà degli anni ’80, amici viticoltori e ristoratori mi chiedevano di distillare le vinacce delle loro vigne singole, piccole produzioni di altissimo livello, per amici e clienti. C’era una totale fiducia. Io non distillavo a loro nome, ma sotto l’etichetta Marolo, indicando l’azienda produttrice della materia prima: era un rapporto di serietà e rispetto per le diverse professionalità. Credo di essere stato il primo a distillare singole vigne del Barolo: avevo capito che anche la grappa poteva esaltare l’essenza non solo di un vitigno, ma le sfumature di un vigneto particolare, all’interno dei prestigiosi cru che stavano cambiando la storia del Re dei vini. Realizzai la prima grappa monovigna di Barolo nel 1989: vigna Enrico VI dell’Azienda Agricola Monfalletto, all’interno del cru Villero nel comune di Castiglione Falletto. Seguirono altre monovigne come la grappa di Barolo La Serra e Brunate, cru di La Morra (1985); la grappa di Barolo Cicala, cru di Monforte d’Alba; le grappe di Barolo Colonnello e Romirasco (vigne all’interno del cru Bussia di Monforte d’Alba); di Barbaresco Rabajà, di Arneis Renesio, di Barbera Moriondo e moltissime altre.

Cominciò a distillare vinacce anche extrapiemontesi.

Esatto. Nel 1979 fu la volta del Pigato, poi il Brunello, il Vermentino, il Gewürztraminer. Oggi distilliamo 48 diversi vitigni, ognuno in maniera artigianale, singolare e personalizzata, rispettando le caratteristiche di ciascuno.


Storia di Marolo, parte 4

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