Sakè vs grappa, quali le differenze?

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Se sei un appassionato di cucina giapponese, sicuramente avrai sentito parlare del sakè, la bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del riso.

Ma sai come si produce il sakè e quali sono le sue origini? In questo articolo ti raccontiamo quello che c’è da sapere su questa bevanda millenaria: la storia, le tipologie e alcune differenze con la Grappa.

Il sakè è una bevanda alcolica che si ottiene dalla fermentazione del riso tramite l’aggiunta di acqua, lievito e una muffa chiamata koji-kin. Il processo di produzione è simile a quello della birra, ma il risultato è una bevanda più delicata e fruttata, con una gradazione alcolica che varia dai 13 ai 16 gradi. Il riso usato per il sakè deve essere lucidato per eliminare le proteine e i grassi presenti nello strato esterno e lasciare solo l’amido nel cuore del chicco. Più il riso è lucidato, più il sakè sarà raffinato e aromatico.

Esistono due principali tipi di sakè: il futsuu-shu, ovvero il “sakè normale”, e il tokutei meishyoshyu, ossia il “sakè a designazione speciale”. Il primo è il più comune e non ha particolari requisiti di sbramatura o di aggiunta di alcol. Il secondo invece comprende otto categorie (Junmai, Honjozo, Tokubetsu Junmai, Tokubetsu Honjozo, Ginjo, Junmai Ginjo, Daiginjo, Junmai Daiginjo), suddivise in base alla percentuale di sbramatura del riso e alla presenza o meno di alcol etilico.

IL CONSUMO DI SAKÈ IN GIAPPONE

Il sakè è una bevanda molto diffusa in Giappone, dove ne vengono prodotti circa 700 milioni di litri all’anno. Il consumo pro-capite è di circa 7 litri annui, ma il sakè sta conquistando anche i palati occidentali grazie alla sua versatilità e alla sua capacità di abbinarsi a molti piatti diversi. Il sakè si può bere sia caldo che freddo, a seconda della stagione e della qualità del prodotto. Si può servire in piccole ciotole di ceramica chiamate choko, in calici di vetro o in scatole di legno di cedro chiamate masu.

UN RITO MILLENARIO

La storia del sakè è antica. Come molte delle tradizioni giapponesi, si pensa che sia una derivata dalla Cina, dove venne “inventato” intorno al quinto millennio a.C. Le prime testimonianze scritte risalgono però al terzo secolo d.C., quando il sakè veniva offerto agli dei in rituali religiosi. In origine, il sakè veniva prodotto masticando il riso e sputando il miscuglio in un tino. Qui entravano in gioco gli enzimi della saliva, che avviavano la fermentazione. Vi sembrerà una nozione barbara e disgustosa, eppure, questa pratica rappresenta una delle tecniche più antiche al mondo per la produzione di bevande alcoliche, testimoniata dalle Ande all’Africa, dall’Asia all’Oceania.  Solo successivamente si scoprì la muffa koji-kin, che rese superfluo questo passaggio e – soprattutto – ne permise la produzione in massa. Oggi il sakè è il più celebre alcolico del Giappone ed incarna lo spirito della stesso della festa. Viene considerato un simbolo di raffinatezza, eleganza e armonia e si consuma in diverse occasioni, sia formali che informali, sia rituali che pagane. Viene ad esempio offerto agli dei shintoisti durante le cerimonie religiose, come segno di ringraziamento e di rispetto. Oppure viene servito agli ospiti durante i banchetti, come gesto di ospitalità e di cortesia. Viene bevuto durante i matrimoni, come simbolo di felicità e di prosperità per la coppia. Il sakè sigilla infatti il legame tra i due sposi, che si scambiano delle coppe di sakè in un rito chiamato san-san-kudo, che significa “tre-tre-nove”. Il numero tre rappresenta i tre legami tra gli sposi: il passato, il presente e il futuro; il numero nove rappresenta la fortuna e l’abbondanza. Infine, viene usato come ingrediente nella cucina giapponese, per insaporire e aromatizzare i piatti: si abbina bene con il pesce, il tofu, le verdure, il riso e può essere usato per preparare dolci come il mochi o il yokan.

SAKÈ VS GRAPPA

Il saké, dunque, differisce in tutto e per tutto dalla grappa. A partire dalla materia prima, il riso; passando dalla tecnica di produzione, la fermentazione e non la distillazione. Simile potrebbe essere la selezione delle diverse cultivar di riso, che danno origine a sakè diversi: potrebbe ricordare la nostra selezione delle vinacce per la creazione di grappe monovarietali. Ma la vera differenza tra il sakè e la grappa sta nella territorialità. La Grappa è figlia delle vinacce che, specie nelle grappe artigianali, raccontano il territorio da cui provengono. Il Sakè è invece espressione della sua… «acqua». Nelle zone dove l’acqua è più dura, cioè più ricca di sali minerali, si producono sakè più strutturati; mentre dove l’acqua è più leggera nascono sakè più delicati e “femminili”.

Una cosa davvero interessante, infine, è il gusto del sakè che, ad un assaggio distratto, ci sembrerebbe tutto uguale. Affinato o meno, sbramato o puro, le differenze sono una questione da esperti. Noi occidentali siamo infatti abituati a gusti più marcati e identitari, almeno nei distillati, premiando (e distinguendo) quelli che hanno caratteristiche smaccatamente diverse. Gli orientali premiano invece le sfumature e hanno un palato allenato a distinguere infinite sottigliezze all’interno di una bevanda fermentata che si distingue proprio per la delicatezza e l’impercettibilità del sapore.

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