Grappa e Brandy, Tutte Le Differenze
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Brandy. Quante volte abbiamo utilizzato questo termine per definire un generico distillato dal colore caramellato, senza mai chiederci davvero cosa stessimo bevendo?
Il Brandy, come il Whisky, rappresenta un’ampissima categoria di spiriti che, secondo le varie leggi e denominazioni, possono prendere nomi diversi: dal Cognac al Calvados, dall’acquavite al Pisco, dall’American Brandy al Brandy italiano.
>>> Leggi il nostro post Grappa e Whisky, tutte le differenze
LE DIFFERENZE TRA GRAPPA E BRANDY
UNA DEFINIZIONE
Il Brandy è un’acquavite, quindi un distillato di frutta fermentata. Ma se vogliamo essere più specifici, è bene dire che il Brandy, nella stragrande maggioranza dei casi, è un distillato di vino. Questa è la prima e fondamentale distinzione con la grappa che, come abbiamo avuto modo di dire più volte su questo blog, è esclusivamente frutto della distillazione di vinacce provenienti da vigneti coltivati su suolo italiano.
Il Brandy è dunque un’acquavite ottenuta dal vino, la cui qualità, ovviamente, influisce direttamente sul prodotto finale. Per il Brandy vengono utilizzati indifferentemente vini rossi, rosati o bianchi, di solito di buona acidità, scarso tenore alcolico e aroma neutro. Il Brandy non deve infatti conservare, come invece fanno le grappe di qualità, le caratteristiche organolettiche del vino di partenza: saranno la distillazione e, sopra ogni cosa, l’affinamento a definirne le caratteristiche principali.
Per l’affinamento, ogni denominazione di Brandy ha i suoi minimi di legge perché nessun Brandy – altra differenza con la grappa – può uscire sul mercato “giovane”, ovvero non invecchiato in botte. Al Brandy possono essere aggiunti zuccheri, caramello e sostanze aromatizzanti, anch’esse normate dai disciplinari.
>>> Leggi in nostro post, di cosa sa la Grappa?
IL VINO “BRUCIATO”
Quando nasce il brandy e perché ha questo nome?
La parola Brandy deriverebbe dall’olandese brandwijn, ovvero «vino bruciato». Se è vero che gli alchimisti Italiani – e la scuola salernitana in particolare – diedero un forte impulso alla la distillazione, gli Olandesi ne furono i profeti. Durante l’epoca moderna furono i primi a distillare vino su e a commercializzarlo su larga scala, contribuendo a fissare il nome del loro prodotto nella forma lessicale che oggi tutto il mondo utilizza.
Grandi stimatori del brandwijn furono gli inglesi. A loro si devono le prime testimonianze scritte sul prodotto: «Buy brand wine» compare nella commedia Beggar’s Bush attribuita a John Fletcher, e «It is more fine than brandewine» si legge nelle Roxburghe Ballads, florilegio di oltre 1300 ballate inglesi raccolte da Robert Harley nel XVII secolo.
Una curiosità? Durante il fascismo si provò ad italianizzare il termine «Brandy» affidando il compito a nessun altro che al sommo poeta: Gabriele D’Annunzio. Il vate coniò «arzente», di affascinante patina toscana, variante aulica dell’aggettivo «ardente». Esperimento nobile, ma fallimentare, visto che nel dopoguerra si tornò immediatamente ad utilizzare la parola importata.
IL BRANDY ITALIANO
La denominazione “Brandy italiano” è riservata all’acquavite ottenuta in Italia dalla distillazione di vino proveniente da uve coltivate e vinificate su territorio nazionale. Il distillato deve invecchiare almeno dodici mesi in magazzini ubicati in Italia, dentro recipienti (botti) di quercia.
Per poter essere immesso al consumo, il Brandy italiano deve avere un titolo alcolometrico non inferiore a 38 per cento in volume e può essere diluito con acqua.
La legge regolamenta anche le aggiunte, che quasi tutti i produttori di Brandy utilizzano: zuccheri, in ragione del 2%; sostanze aromatizzanti naturali e preparazioni aromatiche; caramello per la colorazione. Una pratica diffusa è anche quella di “invecchiare” il gusto del Brandy con infusioni di trucioli di quercia o da altre sostanze vegetali, o mediante infusione o macerazione con acqua o con acquavite di vino, nella misura massima del tre per cento del volume idrato (pratica assolutamente proibita per la grappa).
In Italia, il vino più utilizzato per la produzione di Brandy è il trebbiano, le cui uve vengono pigiate e messe in fermentazione ad una temperatura che si aggira tra i 18° e i 22 °C. Il trebbiano è molto adatto perché di colore bianco scarico, poco aromatico, di bassa gradazione alcolica, di buona acidità fissa, resistente all’ossidazione.
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Bel lavoro a parte la cavolata (grossa) di voler attribuire al Salernitano l’origine della grappa??? con tanto di furba scusa che sono stati i primi a codificarl??? Avete preso qualche contributo statale??? bene godetevelo, come fanno in troppi, ma….
Grazie per il commento. Sull’origine della distillazione in Italia ci sono davvero tesi discordanti. C’è un fatto però, la Scuola di Salerno fu la più avanzata scuola medica italiana durante il Medioevo ed è probabile che proprio là si fossero sviluppate le prime distillazioni mediche italiane. Accogliamo dunque la sua osservazione e, visto che non prendiamo contributi di alcun genere, modifichiamo la frase: non più “inventarono”, ma “contribuirono a dare un forte impulso alla distillazione”. In questa forma, mi pare, possiamo essere d’accordo. Ps. Se conosce fonti documentate su questo argomento non esiti a scriverci!